- da AzioneTradizionale
Ancora sul tema del rapporto tra scienza e Tradizione, degenerazioni scientiste e conoscenza tradizionale, fisica moderna e fisica “classica”, non potevamo non lasciare la parola al maestro René Guénon, che anche in questa materia ha scritto pagine fondamentali e chiarificatrici. In particolare, presentiamo un ampio estratto dal capitolo IV (Scienza sacra e scienza profana) de “La crisi del mondo moderno”. (www.rigenerazionevola.it)
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di René Guénon
tratto da “La crisi del mondo moderno”
Abbiamo detto or ora che nelle civiltà di tipo tradizionale l’intuizione intellettuale è il principio di tutto. In altri termini, la pura dottrina metafisica costituisce l’essenziale e il resto vi si connette a titolo di conseguenza o di applicazione ai diversi ordini delle realtà contingenti.
Cosí stanno visibilmente le cose in fatto di istituzioni sociali e lo stesso vale per le scienze, cioè per le conoscenze riferentisi al dominio del relativo, le quali, in tali civiltà, appaiono essere semplici dipendenze, quasi prolungamenti o riflessi della conoscenza assoluta concernente i principi. Cosi tutto segue un vero criterio gerarchico: il relativo non vien concepito come inesistente, cosa che sarebbe assurda; esso vien preso in considerazione nella misura in cui lo merita e vien messo nel suo giusto posto, che può essere solo secondario e subordinato. E sul piano del relativo esistono anche gradi molto diversi, secondo che si tratti di cose più o meno lontane dal dominio dei principi.
Per quel che riguarda le scienze, esistono dunque due concezioni radicalmente diverse e anzi incompatibili, che noi possiamo chiamare la concezione tradizionale e la concezione moderna.
Noi abbiamo spesso avuto occasione di alludere a «scienze tradizionali» che esistettero nell’antichità è nel Medioevo, che esistono tuttora in varie parti dell’Oriente, ma di cui perfino il concetto si è reso totalmente estraneo agli Occidentali dei nostri giorni. Vale aggiungere che ogni civiltà ha avuto le sue «scienze tradizionali», poiché qui non siamo più nell’ordine dei principi universali, cui si riferisce solo la metafisica pura, ma nell’ordine delle adattazioni ove, appunto perché si tratta di un dominio contingente, bisogna tener conto dell’insieme delle condizioni, mentali o di altro genere, proprie ad un dato popolo ed anzi perfino ad un dato periodo di questo popolo, noi avendo già detto che esistono epoche in cui dei «riadattamenti» si rendono necessari. Questi «riadattamenti» son solo cambiamenti di forma, non toccanti nulla dell’essenza stessa della tradizione.
Circa la dottrina metafisica, in essa solo l’espressione può venir modificata, in un modo che può paragonarsi alla traduzione di una stessa idea da una lingua in un’altra. Quali si siano le forme che essa riveste per esprimersi, e nella misura in cui esprimersi è possibile, esiste assolutamente una metafisica unica, allo stesso modo che esiste un’unica verità. Quando invece si passa alle applicazioni, le cose stanno in modo diverso. Con le scienze, e cosí pure con le istituzioni sociali, si è già nel mondo della forma e della molteplicità, tanto che può dirsi che forme diverse costituiscono effettivamente scienze diverse, diverse anche quando esse, almeno in parte, hanno lo stesso oggetto. I logici sono abituati a considerare una scienza come interamente definita dal suo oggetto, il che, nel suo semplicismo eccessivo, è inesatto: nella definizione di una scienza deve esser anche compreso il punto di vista secondo il quale il suo oggetto viene considerato. Vi è una molteplicità indefinita di scienze possibili: può accadere che varie scienze studino le stesse cose, ma in aspetti cosi diversi, e quindi con metodi e intenzioni anch’essi cosí diversi, da presentarsi effettivamente come scienze distinte. Questo può essere particolarmente il caso per le «scienze tradizionali» di civiltà diverse, scienze che, pur essendo comparabili fra loro, non sono tuttavia sempre assimilabili e, spesso, solo abusivamente potrebbero esser designate con gli stessi nomi.
È poi chiaro che la differenza è assai più grande se invece di paragonare fra
loro le «scienze tradizionali», le quali più o meno hanno tutte lo stesso carattere fondamentale, si confrontano queste scienze in genere con le scienze proprie ai moderni. A tutta prima, può sembrare talvolta che l’oggetto nelle une e nelle altre sia lo stesso, eppure la conoscenza che queste due specie di scienze danno, rispettivamente, di tale oggetto è talmente diversa che, ad un esame ulteriore, si deve esitare ad affermare ancora una identità sia pure limitata ad un certo riguardo.
Qualche esempio non sarà inutile per far meglio comprendere ciò di cui si tratta. Prendiamo anzitutto un esempio di portata assai vasta, quello della «fisica» quale fu compresa dagli antichi e quale lo è dai moderni. Per vedere la differenza profonda intercorrente fra le due concezioni non vi è affatto bisogno, in questo caso, di uscire dal mondo occidentale. Il termine «fisica», nel suo significato originario e etimologico, non significa altro che «scienza della natura», senza restrizione alcuna. E’ dunque la scienza che tratta delle leggi più generali del «divenire», giacché «natura» e «divenire» sono in fondo sinonimi, e proprio questa era l’idea dei Greci e soprattutto di Aristotele. Se esistono scienze più particolari di quest’ordine, esse non sono che «specificazioni» della fisica in relazione a un qualche dominio più strettamente delimitato. È quindi già significativa la deviazione che i moderni han fatto subire alla parola «fisica» con l’usarla per designare una scienza particolare fra varie altre, che pur son tutte scienze della natura. Ciò si riferisce al frazionamento già da noi indicato come uno dei caratteri della scienza moderna, a quella «specializzazione» generata dallo spirito analitico e spinta fino al punto di rendere veramente inconcepibile, in coloro che soggiacciono alla sua influenza, una scienza riferentesi alla natura considerata nel suo insieme. Non è mancato chi ha rilevato alcuni degli inconvenienti di questa «specializzazione» e soprattutto la ristrettezza di vedute che ne è la conseguenza inevitabile: ma sembra che anche coloro che più si son resi conto di ciò, si siano poi rassegnati a considerare la cosa come un male necessario, data la quantità delle conoscenze particolari, tale da non poter esser compresa nel suo insieme da nessun essere umano. Essi, da una parte, non hanno capito che queste conoscenze particolari o di dettaglio sono in sé stesse insignificanti, né meritano che, ad esse, si sacrifichi una conoscenza sintetica la quale, pur limitandosi sempre al relativo, è d’ordine assai più alto; d’altra parte, essi non hanno compreso che l’impossibilità di abbracciare quella molteplicità deriva dal solo fatto che ci si ricusa di riconnetterla ad un principio superiore, che ci si ostina a procedere partendo dal basso e dall’esterno, mentre bisognerebbe fare proprio il contrario se si vuole avere una scienza avente un valore speculativo reale.
Volendo comparare la fisica antica non con quel che dai moderni vien designato con lo stesso nome, ma con l’insieme delle scienze della natura quali si sono costituite attualmente, perché proprio a ciò essa dovrebbe corrispondere, come prima differenza vi è dunque da rilevare la divisione in «specialità» multiple, estranee, per cosa dire, le une alle altre. Tuttavia ciò riguarda solo il lato più esterno della questione e non si deve pensare che, qualora si riunissero tutte queste scienze speciali, si otterrebbe qualcosa di equivalente alla fisica antica. La verità è che il punto di vista è del tutto diverso e che qui entra in giuoco quella differenza essenziale fra le due concezioni, di cui abbiamo parlato poco fa; la concezione tradizionale, come dicevamo, riconduce tutte le scienze ai principi, al titolo di altrettante applicazioni particolari di essi, mentre la concezione moderna esclude ogni riferimento del genere. Secondo Aristotele, la fisica era solo «seconda» rispetto alla metafisica, essa ne era cioè dipendente, non era in fondo che una applicazione al dominio della natura di principi superiori alla natura e riflettertisi nelle leggi di questa: e lo stesso può dirsi della «cosmologia» medioevale. Invece la concezione moderna pretende di assicurare alle scienze l’indipendenza negando tutto quanto le trascende, o, almeno, dichiarandolo «inconoscibile», e rifiutandosi di tenerne conto, cosa che praticamente è poi lo stesso che negarlo. Una tale negazione esisteva effettivamente assai prima che si pensasse a costituirla in una teoria sistematica sotto nomi come «positivismo» o «agnosticismo», poiché può dirsi che essa sta proprio all’inizio di tutta la scienza moderna. Tuttavia è solo nel XIX secolo che si son viste persone in atto di gloriarsi della loro ignoranza, poiché il loro proclamarsi «agnostiche» altro non è che questo, e pretendere di interdire a tutti la conoscenza di quel che esse ignorano: il che ha segnato una tappa ulteriore nella decadenza intellettuale dell’Occidente.
Separando radicalmente le scienze da ogni principio superiore col pretesto di assicurar loro l’indipendenza, la concezione moderna le ha private di ogni significato profondo e perfino di ogni interesse vero dal punto di vista della conoscenza: ed esse son condannate a finire in un vicolo cieco, poiché questa concezione le chiude in un dominio irrimediabilmente limitato (1). Ogni sviluppo all’interno di questo dominio non è poi per nulla un approfondimento, come alcuni se l’imaginano: esso resta invece affatto superficiale e conduce solo alla già accennata dispersione nel dettaglio, ad una analisi sterile quanto fastidiosa, la quale può svilupparsi indefinitamente senza che cosi si proceda di un solo passo sulla via della vera conoscenza. Bisogna del resto dire, che in genere gli Occidentali non coltivano affatto per sé stessa la scienza cosi concepita: non è un sapere, sia pure inferiore, che essi hanno soprattutto in vista, ma sono le applicazioni pratiche, e per convincersene v’è solo da pensare alla facilità con cui la gran parte dei nostri contemporanei confonde la scienza con l’industria e come siano numerosi coloro per i quali l’ingegnere o l’inventore rappresentano il tipo stesso dello scienziato. Ma ciò rimanda ad una questione che avremo da trattar più estesamente in seguito.
La scienza, costituendosi nella forma moderna, ha perduto non solo in profondità ma potrebbe dirsi anche in solidità, poiché la riconnessione ai principi la faceva partecipe della immutabilità di questi ultimi, in tutta l’estensione concessa dal suo stesso oggetto; mentre, nel chiudersi esclusivamente nel mondo del mutamento, essa non vi trova più nulla di stabile, nessun punto fermo a cui possa appoggiarsi. Non partendo più da nessuna certezza assoluta, essa si è ridotta a formulare probabilità e approssimazioni, o a costruzioni puramente ipotetiche che son solo l’opera della fantasia individuale.
E quand’anche alla scienza moderna capiti di pervenire accidentalmente e per vie traverse a certi risultati che sembrano collimare con alcuni dati delle antiche «scienze tradizionali», sarebbe un grosso errore vedere in ciò una conferma, che a questi dati non fa per niente bisogno. E’ perder tempo voler conciliare dei punti di vista totalmente differenti o stabilire una concordanza con teorie ipotetiche che forse fra qualche anno saranno del tutto discreditate (2).
Tutto quanto è di pertinenza della scienza attuale può solo appartenere al campo delle ipotesi, mentre, per le «scienze tradizionali», si trattava di ben altro, cioè di conseguenze indubitabili tratte da verità conosciute intuitivamente e superrazionalmente, quindi in modo infallibile, nell’ordine metafisico (3). D’altronde una illusione singolare propria allo «sperimentalismo» moderno è quella di credere che una teoria possa esser provata dai fatti, mentre in realtà stessi fatti possono sempre venire spiegati in funzione di molte e diverse teorie, sí che perfino alcuni promotori del metodo sperimentale, come Claude Bernard, hanno riconosciuto la necessità di una interpretazione aiutata da «idee preconcette», senza le quali questi fatti resterebbero «fatti bruti», privi di ogni significato e di ogni valore scientifico (…).
Noi dicevamo poco fa che uno dei caratteri dell’epoca attuale è l’uso di quanto era stato precedentemente trascurato perché presentava una importanza troppo secondaria agli occhi di coloro che avrebbero dovuto consacrarvi la loro attività, ma che doveva tuttavia venire sviluppato prima della fine del presente ciclo, anche tali possibilità avendo il loro posto fra quelle chiamate a manifestarsi: in particolare, altro non è il caso delle scienze sperimentali nate in questi ultimi secoli. Vi son perfino scienze moderne che rappresentano davvero, e nel senso piú letterale, dei «residui» di scienze antiche, oggi non più comprese: è la parte più inferiore di quest’ultime che, isolandosi e staccandosi da tutto il resto in un periodo di decadenza, si è materializzata grossolanamente ed ha servito poi di base ad uno sviluppo affatto diverso, in un senso conforme alle tendenze moderne, tanto da condurre alla costituzione di scienze non aventi realmente più nulla di comune con quelle che le hanno precedute. Cosi è falso dire, come comunemente si fa, che, per esempio, l’astrologia e l’alchimia sono divenute rispettivamente l’astronomia e la chimica moderna, anche se in una opinione siffatta dal punto di vista soltanto storico vi sia una certa parte di verità, che però è proprio quella or ora indicata: quest’ultime scienze procedono sì dalle prime in un certo senso, ma ad esse non si è giunti con una «evoluzione» o un «progresso», come si pretende, bensì con una degenerescenza. (…).
Noi ci limiteremo a questi pochi esempi: sarebbe peraltro facile addurne altri ancora, da prendersi in domini un po’ diversi, ma accusanti tutti la stessa degenerescenza. Cosi si potrebbe mostrare che la psicologia, quale oggi viene intesa, cioè lo studio dei fenomeni mentali come tali, è un prodotto naturale dell’empirismo anglosassone e dello spirito del XVIII secolo, e che il punto di vista cui essa corrisponde appariva agli Antichi così trascurabile, che se ad essi venne fatto, talvolta, di considerarlo incidentalmente, mai venne loro in mente di crearvi su una scienza speciale corrispondente: quanto in esso poteva esservi di valido, per essi si trovava trasformato e assimilato in punti di vista piú alti. In un dominio affatto diverso, si potrebbe anche mostrare che la matematica moderna rappresenta, per dir così, solo la scorza della matematica pitagorica, il suo lato puramente «exoterico»; perfino il concetto antico del numero è divenuto assolutamente inintelligibile per i moderni, poiché anche qui la parte superiore della scienza, quella che le conferiva, col suo carattere tradizionale, un valore propriamente intellettuale, è totalmente scomparsa: caso assai simile a quello dell’astrologia. (…).
E torniamo ora alle considerazioni generali circa la funzione rispettiva delle «scienze tradizionali» e di quelle moderne e circa la differenza profonda fra la vera finalità delle une e delle altre.
Secondo la concezione tradizionale, una qualunque scienza interessa meno in sé stessa che per il suo essere il prolungamento o il ramo secondario di una dottrina avente il suo nucleo essenziale nella metafisica pura (4). Se infatti ogni scienza è certamente legittima quando occupa il posto esatto che corrisponde alla sua natura propria, è facile capire che per chiunque possegga una conoscenza d’ordine superiore, le conoscenze inferiori debbono per forza perdere buona parte del loro interesse e, alla fine, valere solo in funzione della conoscenza dei principi, cioè nella sola misura in cui, da una parte, riflettano questi ultimi nell’uno o nell’altro dominio contingente e, dall’altra, siano atte ad avviare verso questa stessa conoscenza dei principi che, nel caso qui considerato, non può mai essere perduta di vista né sacrificata per considerazioni più o meno accidentali. Si tratta di due funzioni complementari proprie alle «scienze tradizionali»: da un lato, nella loro qualità di applicazioni della dottrina esse permettono di collegare i vari ordini della realtà, di integrarli nell’unità della sintesi totale; dall’altro esse, almeno per alcuni e in conformità alle relative attitudini, sono preparazione ad una più alta conoscenza, una specie di avviamento verso di essa: e allora quelle scienze, nella ripartizione gerarchica conforme ai gradi di esistenza cui si riferiscono, costituiscono quasi altrettanti gradini mediante i quali ci si può elevare fino all’intellettualità pura, cioè all’intuizione intellettuale (5). É fin troppo evidente che le scienze moderne non possono menomamente adempiere né all’una né all’altra di queste due funzioni: per questo esse non sono e non possono essere che «scienza profana» mentre le «scienze tradizionali», per il loro riconnettersi ai principi metafisici, apparivano incorporate in modo effettivo nella «scienza sacra».
La coesistenza ora indicata delle due funzioni non implica né contradizione né circolo vizioso, contrariamente a quanto possono credere coloro che considerano le cose solo superficialmente: ed anche questo è un punto su cui è bene soffermarci. Si tratta, per così dire, di due punti di vista, discendente l’uno, ascendente l’altro, il primo corrispondente ad uno sviluppo della conoscenza partendo dai principi e finendo in applicazioni più o meno lontane, il secondo corrispondente ad una acquisizione progressiva di questa stessa conoscenza procedendo dall’inferiore al superiore, o, se lo si preferisce, dall’esterno all’interno. Il problema non è dunque di sapere se le scienze debbano venire costituite dal basso in alto o viceversa; di sapere se, a renderle possibili, debba prendersi come punto di partenza la conoscenza dei principi ovvero quella del mondo sensibile. Un tale problema può porsi dal punto di vista della filosofia «profana» e sembra infatti essere stato posto più o meno esplicitamente in questo dominio dall’antichità greca: ma esso non ha ragion d’essere per la «scienza sacra», la quale può solo partire da principi universali. E ciò che qui lo destituisce di ogni fondamento è il ruolo primario dell’intuizione intellettuale, la quale, come è la più immediata fra le conoscenze, così pure è la più alta, ed è assolutamente indipendente dall’esercizio di ogni facoltà d’ordine sensibile e perfino razionale.
Le scienze possono esser costituite validamente quali «scienze sacre» solo da coloro che per prima cosa posseggono pienamente la conoscenza dei principi e che quindi sono i soli qualificati per realizzare, in conformità alla più rigorosa ortodossia tradizionale, tutte le adattazioni richieste dalle circostanze di tempo e di luogo. Solo che, una volta che le scienze vengano cosi costituite, l’insegnamento può seguire l’ordine inverso; esse sono in un qualche modo delle «illustrazioni» della dottrina pura, le quali possono renderla più facilmente accessibile a certe menti: e per il fatto stesso che esse si riferiscono al mondo della molteplicità, la diversità pressoché indefinita dei loro punti di vista può andare incontro alla non meno grande diversità delle attitudini individuali di tali menti, l’orizzonte delle quali è ancora ristretto a questo stesso mondo della molteplicità. Le vie possibili per raggiungere la conoscenza possono essere estremamente diverse nei gradi più bassi, e vanno unificandosi sempre di più via via che si raggiungono stadi più alti.
Nessuno dei gradi preparatori è però di una necessità assoluta, poiché essi costituiscono solo dei mezzi contingenti e privi di comune misura rispetto allo scopo da raggiungere: può perfino accadere che alcuni di coloro, nei quali predomina la tendenza contemplativa, s’innalzino di colpo alla vera intuizione intellettuale senza bisogno di tali mezzi (6). Ma questo è un caso alquanto eccezionale, si che di solito sussiste l’opportunità di procedere invece nel senso ascendente. Per far capir ciò, si può far anche uso dell’imagine tradizionale della «ruota cosmica»: la circonferenza, in realtà, esiste solo in funzione del centro; ma gli esseri che sono sulla circonferenza debbono partir per forza da questa, o più precisamente dal punto di questa in cui si trovano, e seguire il raggio per arrivare al centro. D’altronde, per via della corrispondenza esistente fra tutti gli ordini della realtà, le verità di un ordine inferiore possono essere considerate come simboli di quelle d’ordine superiore e servir quindi di «base» o sostegno per giungere analogicamente alla conoscenza di queste ultime (7).
Il Chakravarti è letteralmente, “colui che fa girare la ruota”. Nell’immagine, la celebre Ruota del Tempio del sole di Konark (India), che sostiene il carro solare. |
Ciò conferisce ad ogni scienza un senso superiore o «anagogico», più profondo di quello che essa possiede in sé, senso che può darle il carattere di una vera «scienza sacra». Noi dicevamo che ogni scienza può assumere questo carattere, quale si sia il suo oggetto, con la sola condizione di esser formata e considerata seguendo lo spirito tradizionale. V’è solo da tener conto dei vari gradi d’importanza di tali scienze, secondo la dignità gerarchica delle diverse realtà cui esse si riferiscono: ma, in un grado o nell’altro, il loro carattere e la loro funzione restano essenzialmente identici nella concezione tradizionale. E ciò è vero non solo per ogni scienza, ma anche per ogni arte, in quanto ogi arte può avere un valore propriamente simbolico che la rende atta a fornire dei «sostegni» per la meditazione; in più le sue regole, al pari delle leggi che costituiscono l’oggetto della conoscenza scientifica, sono riflessi e applicazioni dei principi fondamentali. Cosi in ogni civiltà normale si trovano sempre delle «arti tradizionali», ignote agli Occidentali moderni non meno delle «scienze tradizionali» (8).
La verità è che, in realtà, non esiste un «dominio profano» in un certo modo contrapposto al «dominio sacro»: esiste solo un «punto di vista profano», il quale propriamente non è altro se non il punto di vista dell’ignoranza (9). Per questo la «scienza profana» potrebbe esser giustamente considerata come un «sapere ignorante»: sapere d’ordine inferiore, tenentesi tutto al livello della realtà più bassa, è sapere ignorante tutto quel che lo trascende, ignorante ogni finalità più alta, come pure ogni principio che potrebbe assicurargli un posto legittimo, anche se umile, in un dato ordine della conoscenza integrale. Noi abbiamo dunque da fare con una scienza che, essendo irrimediabilmente chiusa nel dominio relativo e limitato in cui ha voluto proclamarsi indipendente, e avendo con ciò troncato ogni comunicazione con la verità trascendente e la conoscenza suprema, non è più che una conoscenza vana e illusoria la quale, invero, non parte da nulla e non conduce a nulla.
(…) La scienza moderna, procedendo da una circonscrizione arbitraria della conoscenza ad un certo piano particolare, che è il piú basso di tutti, al piano cioè della realtà materiale o sensibile, ha perduto con una tale limitazione e con le conseguenze immediate di essa ogni valore intellettuale, almeno se si dà all’intellettualità la pienezza del suo vero senso e ci si rifiuta di aderire all’errore «razionalista», per cui si identifica l’intelligenza pura alla ragione, o – ciò è lo stesso – per cui si nega l’intuizione intellettuale. Alla base di questo errore, come pure di una gran parte degli altri errori moderni, e alla radice stessa dell’intera deviazione della scienza ora considerata, sta quel che si può chiamare l’«individualismo». L’«individualismo» si identifica allo stesso spirito antitradizionale e le sue manifestazioni multiple, in tutti i vari domini, costituiscono uno dei fattori piú importanti del disordine dell’epoca nostra.
Note dell’autore
(1) Si può notare che qualcosa di analogo si è verificato nell’ordine sociale, ove i moderni hanno preteso di separare il temporale dallo spirituale. Non si tratta di contestare la distinzione esistente fra i due principi, i quali effettivamente si riferiscono a domini differenti, come nel caso della metafisica e delle scienze. Ma per via di un errore inerente allo spirito analitico ci si dimentica che distinzione non vuoi dire affatto separazione. Costituitosi a sé, il potere temporale perde la sua legittimità e lo stesso potrebbe esser detto, nell’ordine intellettuale, per quel che riguarda le scienze.
(2) La stessa osservazione vale, nel campo religioso, per una certa apologetica che pretende di mettersi d’accordo con i risultati della scienza moderna; lavoro del tutto inutile e sempre da rifare, che presenta d’altronde il grave pericolo di dar l’illusione di una solidarietà fra la religione e queste concezioni mutevoli e effimere, da cui essa deve restare del tutto indipendente.
(3) Sarebbe facile indicare esempi. Ne citeremo solo uno dei più caratteristici: la differenza fra il carattere delle concezioni relative all’etere nella cosmologia indù e nella fisica moderna.
(4) Ciò viene espresso, p. es., da denominazioni come quella di apaveda, applicata in India a certe «scienze tradizionali» e indicante la subordinazione di esse rispetto ai Veda, cioè alla conoscenza sacra per eccellenza,
(5) Nel nostro studio L’ésotérisme de Dante (Paris, 1925), abbiamo indicato il simbolismo della scala, i vari gradini della quale, secondo diverse tradizioni, corrispondono sia a certe scienze che a stati dell’essere: cosa che presupponeva necessariamente che tali scienze non venissero considerate in modo affatto «profano» come fra i moderni, ma fossero suscettibili di una trasposizione conferente loro una portata real-mente « niziatica».
(6) Per questo, secondo la dottrina indù i brahmana debbono indirizzare costantemente il loro spirito alla conoscenza suprema, mentre i kshatriya debbono piuttosto applicarsi allo studio successivo delle varie tappe attraverso le quali si perviene progressivamente ad essa.
(7) Questa è la parte che ha p. es. il simbolismo astronomico, usato cosi spesso dalle varie dottrine tradizionali: e quel che ora diciamo può lasciar intravvedere la vera natura di una scienza quale l’antica astrologia.
(8) L’arte dei costruttori nel Medioevo può esser menzionata come un esempio particolarmente notevole di queste «arti tradizionali», la cui pratica implicava d’altronde la conoscenza reale delle scienze corrispondenti.
(9) Per convincersene, basta considerare fatti come questo: una delle scienze più «sacre», la cosmologia, che come tale ha un suo posto in tutti i Libri ispirati, compresa la Bibbia ebraica, per i moderni è divenuta l’oggetto delle ipotesi più «profane»: il dominio della scienza è pur lo stesso nei due casi, ma il punto di vista è totalmente differente.
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