da italianosveglia.com
Una donazione volontaria è regolare. Il meccanismo però mina le regole di uno stato democratico: il partito nomina un manager di fiducia e compiacente, il più delle volte incompetente, per generare clientelismo selvaggio e farsi passare parte dello stipendio. Un pizzo in pieno stile mafioso.
La beffa vera è che sono soldi dei cittadini! Il manager pubblico con quali soldi viene pagato? I soldi che versa (derivanti da un incarico dato in modo quasi sempre clientelare) sono la mazzetta, ops!, il ringraziamento volevo dire, con soldi pubblici.
L’erogazione fiscalmente è liberale, quindi detraibile al 26% come un atto di generosità e partecipazione alla vita politica del Paese. Sostanzialmente, invece, l’erogazione c’è, ma non è mica tanto liberale: diciamo che sfiora l’obbligatorio. Ci si riferisce all’annosa questione, riesumata mercoledì da Franco Bechis su Libero, dell’obolo che – secondo molti regolamenti finanziari locali del Pd – non solo deputati e eletti a livello regionale e locale, ma pure tutti quelli che i democratici piazzano ai vertici di municipalizzate, enti, fondazioni e via dicendo devono versare al partito. È una percentuale fissa dello stipendio o del gettone di presenza che varia da territorio a territorio e spesso è indicata nei “Regolamenti finanziari” locali.
È una pratica, questa, che affonda le radici nei decenni e arriva al cuore del sistema di finanziamento del Pci: all’epoca, però, il primato della politica nella gestione della cosa pubblica era un fatto orgogliosamente rivendicato, mentre oggi non passa giorno che democratici di ogni ordine e grado parlino di merito, curriculum, scandiscano frasi come “fuori la politica dai cda”. Per di più, formalizzare in questo modo l’impegno a girare un pezzo dello stipendio da presidente della società pubblica X al partito non sembra proprio una garanzia di imparzialità nel processo che ha portato alla scelta di quel manager: è stato preferito a un altro candidato perché era disposto apagare?
Come detto, si tratta di una pratica antica. Il Pd era nato da pochi anni quando Antonio Misiani, che ne fu tesoriere dal 2009 a fine 2013, prima a voce e poi per iscritto chiese ai colleghi dem delle regioni di cancellare dai regolamenti i riferimenti al versamento obbligatorio per i membri di cda, partecipate e quant’altro indicati dal partito (che infatti in quello nazionale non c’è).
Evidentemente gli interessati si sono dimenticati, tanto è vero che l’erogazione liberale obbligatoria si ritrova un po’ dappertutto nei documenti del Pd lungo lo Stivale. Il più spudorato è il Regolamento finanziario del partito in Friuli Venezia Giulia: “I designati e nominati in qualità di presidenti, amministratori, consiglieri di indirizzo, revisori dei conti ecc., in enti, società, consorzi, aziende, autorità, fondazioni ecc., sono tenuti a versare al Partito democratico del rispettivo livello di nomina una percentuale dell’indennità lorda percepita pari al 10%” (e colpisce la citazione persino dei revisori dei conti, soggetti terzi per definizione).
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