da Il Primato Nazionale
Roma, 16 ago – Il racconto ufficiale sulla morte di Giulio Regeni si arricchisce di nuovi particolari: la stampa Usa ci fa sapere che il governo americano aveva fatto avere “prove esplosive” sul coinvolgimento dei servizi egiziani nella morte del presunto ricercatore italiano. Siamo stati i primi, e per ora gli unici, a mostrare quanto la versione ufficiale del caso non avesse senso e che l’intera questione andava inquadrata come una operazione di intelligence fatta ai danni dell’Italia per danneggiare l’Eni a livello tattico, ed inserita in un generale tentativo di esclusione della nostra Nazione nel teatro Nordafricano.
Torniamo a oggi: in questi giorni il governo italiano dichiara l’intenzione di riaprire i rapporti diplomatici con l’Egitto. Una scelta saggia a riparazione parziale e tardiva di una scelta emotiva ed imbecille fatta ai tempi della morte di Giulio quando si decise di interrompere ogni rapporto diplomatico con l’Egitto. Con un tempismo che definiamo militare accade un fatto curioso: il New York Times viene a sapere che, ai tempi, il governo Usa aveva aiutato l’alleato italiano indicando immediatamente nei servizi egiziani gli assassini di Regeni. Lo stesso giornale poi compie un’opera di pura disinformazione ricostruendo l’intera vicenda in modo assurdo e arriva ad avanzare l’ipotesi che dietro la prima pista, poi giudicata infondata, che individuò in cinque delinquenti comuni uccisi dalla polizia i colpevoli ci fosse una convergenza di favori tra governo egiziano ed italiano. Di fatto accusando l’Eni di aver cercato di costruire una versione di comodo per evitare che i rapporti tra i paesi peggiorassero.
L’articolo cita anche l’enorme scoperta del giacimento di gas al largo dell’Egitto fatta dall’Eni come chiave di lettura: curioso che invece fino ad ora nessuno, a parte la nostra testata, avesse notato la cosa. Tuttavia Palazzo Chigi risponde che la velina americana era inutilizzabile perché non portava prove concrete, non citava né singoli uomini da attenzionare né sigle precise di organizzazioni e neppure indicava se esistesse un ordine diretto nella catena di comando egiziana per la scomparsa dell’Italiano: di fatto era operativamente inutile, ma politicamente fondamentale. Perché? Quale era la funzione dell’informatica se in realtà era inutilizzabile ai fini di una indagine non solo da parte degli organi inquirenti, ma persino da parte dei servizi? È molto semplice: aveva un semplice utilizzo politico che è quello che stiamo vedendo in questi giorni. Ovvero: essere la carta ulteriore per sabotare eventuali tentativi di riavvicinamento tra l’Italia e l’Egitto. Oggi infatti, grazie a questa velina vediamo come persino i giornali di sinistra che hanno perdonato a Renzi ogni cosa, lo accusano di aver ignorato l’aiuto usa in nome della ragion di Stato. Una assurdità senza limiti: di fatto con la rottura dei rapporti diplomatici Renzi prese (sbagliando) fin troppo in carico la questione e danneggiò la Nazione e per impedire che si rimedi a questo danno oggi assistiamo a questa pantomima. Se qualche “ragione di Stato” sta prevalendo sulla verità in merito alla morte di Regeni, non si tratta certo di quella dello Stato Italiano, purtroppo.
Ora che l’Africa, anche grazie all’interessamento cinese, sta diventando e diventerà sempre più un bottino importante, le fette per le potenze mondiali si fanno sempre più sottili e qualcuno ha deciso di mangiarsi quella del più debole seduto al banchetto. La presenza dell’Italia nel Nord Africa è diventata un bersaglio per qualcuno e passo dopo passo stiamo rischiando di essere buttati fuori dal nostro naturale bacino di influenza internazionale. L’accanimento con cui presunti alleati e mass media internazionali vogliono convincerci ad accettare le opzioni peggiori (in Libia, In Egitto, in merito alla questione migranti) solleva il dubbio che la classe dirigente italiana non abbia neppure la competenza per comprendere chi ci è amico e chi ci è nemico, e come ci ricorda Schmitt, con queste premesse, non esiste neppure la possibilità di iniziare a fare politica.
Guido Taietti
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