da IlPrimatoNazionale.it
Roma, 21 lug – Siamo abituati al “politicamente corretto”, a questo mantra “buonista” che ha cambiato il linguaggio e il modo di pensare degli italiani e, oseremo dire, dell’umanità. Lo osserviamo in politica, in economia, in letteratura e anche nella ricerca storiografica. A volte gli eventi del passato ci ammoniscono nel non ripetere gli errori che hanno portato al collasso civiltà una volta fiorenti
Oggi la storia viene riscritta, perché questi trascorsi metterebbero in ombra le ideologie progressiste più azzardate. L’immigrazionismo è un tabù ed è deprecabile, se non un atto sacrilego, parlare dei suoi effetti sulle società. Quando guardiamo alla storia romana e alla caduta della sua civiltà, non possiamo non constatare le responsabilità delle invasioni barbariche: la precaria situazione economica e politica dell’Urbe collassò con l’ondata barbarica che si riversò in occidente.
Lo storico inglese Bryan Ward Perkins nel suo “La caduta di Roma e la fine della civiltà” (Laterza, 2010) ribalta il “politicamente corretto” che negli ultimi decenni ha invaso la ricerca storiografica. Non si parla più di “decadenza”, di “crisi” o di “caduta”, ma si utilizza l’espressione “trasformazione”. Le invasioni barbariche sono presentate come innocue migrazioni e la sistemazione di queste genti nelle terre imperiali avvenne pacificamente, eccetto qualche piccola tensione. Eppure, afferma Ward Perkins, dopo il 476 d.C. l’Occidente cambiò volto e la vita civile si ritrasse in molte regioni dell’Impero per la barbarie e per l’arretratezza culturale e economica. Lo si può notare nello scadimento della produzione di ceramica e dell’arte edilizia: le anfore romane persero in raffinatezza e scompervero le più elementari tecniche costruttive. Sono segni di un generale decadimento dei costumi e delle abitudini sociali.
Partendo da questi dati archeologici indiscutibili, afferma Ward Perkins, si può dimostrare un lento e secolare processo di decadenza, il cui inizio coincise con le prime irruente invasioni barbariche. I germani occuparono progressivamente le regioni più ricche del dominio romano, come l’Africa settentrionale e la Gallia, aggravando la già difficile situazione economica. I continui turbamenti politici e la crisi economica resero difficile un’azione decisiva contro le popolazioni germaniche che premevano sui confini. L’esercito era al collasso e Roma fu costretta ad affidarsi sempre di più a truppe mercenarie non sempre fedeli. Le casse dello Stato erano vuote e di conseguenza era proibitivo addestrare e mantenere le legioni che per secoli protessero la città e i suoi domini. Con scientificità e, soprattutto, con realismo Ward Perkins smaschera la storia romana “politicamente corretta”, che ha timore di evidenziare il ruolo fondamentale delle invasioni germaniche nella caduta dell’Impero Romano.
Alfredo Incollingo
Roma, 21 lug – Siamo abituati al “politicamente corretto”, a questo mantra “buonista” che ha cambiato il linguaggio e il modo di pensare degli italiani e, oseremo dire, dell’umanità. Lo osserviamo in politica, in economia, in letteratura e anche nella ricerca storiografica. A volte gli eventi del passato ci ammoniscono nel non ripetere gli errori che hanno portato al collasso civiltà una volta fiorenti
Oggi la storia viene riscritta, perché questi trascorsi metterebbero in ombra le ideologie progressiste più azzardate. L’immigrazionismo è un tabù ed è deprecabile, se non un atto sacrilego, parlare dei suoi effetti sulle società. Quando guardiamo alla storia romana e alla caduta della sua civiltà, non possiamo non constatare le responsabilità delle invasioni barbariche: la precaria situazione economica e politica dell’Urbe collassò con l’ondata barbarica che si riversò in occidente.
Lo storico inglese Bryan Ward Perkins nel suo “La caduta di Roma e la fine della civiltà” (Laterza, 2010) ribalta il “politicamente corretto” che negli ultimi decenni ha invaso la ricerca storiografica. Non si parla più di “decadenza”, di “crisi” o di “caduta”, ma si utilizza l’espressione “trasformazione”. Le invasioni barbariche sono presentate come innocue migrazioni e la sistemazione di queste genti nelle terre imperiali avvenne pacificamente, eccetto qualche piccola tensione. Eppure, afferma Ward Perkins, dopo il 476 d.C. l’Occidente cambiò volto e la vita civile si ritrasse in molte regioni dell’Impero per la barbarie e per l’arretratezza culturale e economica. Lo si può notare nello scadimento della produzione di ceramica e dell’arte edilizia: le anfore romane persero in raffinatezza e scompervero le più elementari tecniche costruttive. Sono segni di un generale decadimento dei costumi e delle abitudini sociali.
Partendo da questi dati archeologici indiscutibili, afferma Ward Perkins, si può dimostrare un lento e secolare processo di decadenza, il cui inizio coincise con le prime irruente invasioni barbariche. I germani occuparono progressivamente le regioni più ricche del dominio romano, come l’Africa settentrionale e la Gallia, aggravando la già difficile situazione economica. I continui turbamenti politici e la crisi economica resero difficile un’azione decisiva contro le popolazioni germaniche che premevano sui confini. L’esercito era al collasso e Roma fu costretta ad affidarsi sempre di più a truppe mercenarie non sempre fedeli. Le casse dello Stato erano vuote e di conseguenza era proibitivo addestrare e mantenere le legioni che per secoli protessero la città e i suoi domini. Con scientificità e, soprattutto, con realismo Ward Perkins smaschera la storia romana “politicamente corretta”, che ha timore di evidenziare il ruolo fondamentale delle invasioni germaniche nella caduta dell’Impero Romano.
Alfredo Incollingo
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