google_ad_client: "ca-pub-2245490397873430", Sine.ClaV.is: Perché rovesciare il governo del Venezuela?

domenica 2 luglio 2017

Perché rovesciare il governo del Venezuela?


Mentre le Nazioni Unite hanno condannato l’attacco di un commando di estrema destra contro la Corte Suprema di Giustizia e il Ministero degli Interni del Venezuela, attentati oscurati dai media (1), l’ambasciatrice statunitense Nikky Haley alle Nazioni Unite ha rifiutato di farlo: “Dobbiamo fare pressione su Maduro, ora ci sono segnali che indicano che comincerà ad usare il potere militare e le armi e vediamo in televisione (sic) che in realtà è molto peggio. E’ una situazione terribile, motivo per cui dobbiamo esercitare su Maduro quanta pressione possiamo“. (2) 

Il 15 giugno 2017, in una conferenza sul tema “prosperità e sicurezza in America Centrale”, organizzata da dipartimento di Stato (USA), Department of Homeland Security (US) e Messico, il vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence si rivolgeva al pubblico di capi dell’America centrale, “Basta guardare il Venezuela per vedere cosa succede quando la democrazia è compromessa. Questa nazione, un tempo ricca, collassa nell’autoritarismo che ha causato innumerevoli sofferenze al popolo del Venezuela, e la sua discesa nella povertà. Dobbiamo tutti alzare la voce per condannare l’abuso di potere del governo contro il proprio popolo, e dobbiamo farlo ora“. (3) Per comprendere a fondo la base della guerra economica, delle esercitazioni militari regionali (Brasile, Colombia) e della pressione mediatica e diplomatica degli Stati Uniti per neutralizzare l’opinione pubblica internazionale sul teatro del Venezuela, va prima ricordato che l’amministrazione Trump, lungi dall’aver cambiato politica estera, ha mantenuto la strategia tracciata dall’ideologia neoconservatrice che ora controlla le decisioni del governo e la azioni del Congresso degli Stati Uniti. L’urgenza di abbattere il chavismo è difficile da capire se non si considerano le idee internazionali e regionali proposte dai think tank.


Come si stigmatizza il Venezuela nell’agenda globale?

A metà del 2016, il Centro per una nuova sicurezza americana (CNAS) presentò un documento dal titolo “L’espansione della potenza americana” che contiene una serie di raccomandazioni per generare consenso nella classe politica statunitense per “garantire la sopravvivenza del sistema internazionale favorevole agli Stati Uniti“. Per fare questo, il think tank sostiene le riforme economiche bipartisan quali, ad esempio, la ristrutturazione del debito e la riforma fiscale per rafforzare le fondamenta del sistema degli Stati Uniti per aumentare la spesa militare, economica e diplomatica, consentendogli di espandersi in Asia, Europa e Medio Oriente, tre aree chiave per una globalizzazione permanente. Così gli Stati Uniti “potrebbero scoraggiare con mezzi diplomatici e militari potenze come Cina e Russia nel sfidare l’attuale ordine internazionale liberale, evitando un conflitto mondiale (sic)“. E sulla base di tali proposte che tale think tank prevede di militarizzare il mar meridionale cinese e di riformare la NATO per rafforzarne la presenza alle frontiere con la Russia. Proposte attuate con la prosecuzione dell’amministrazione Trump delle politiche di Obama, insieme ad altre misure specifiche riguardanti direttamente la Russia, come la creazione di una zona di sicurezza nel nord della Siria per installarvi profughi e forze alleate degli Stati Uniti, con l’obiettivo di promuovere la partizione del Paese e frenare Mosca dall’azione in questa guerra. Il vertice tra Trump e il Presidente cinese Xi Jinping rientra nel piano di far aderire in modo pacifico la potenza asiatica all’ordine internazionale favorevole alle multinazionali degli Stati Uniti. Di qui l’importanza attribuita a tale agenda globale nell’ambito del consenso generale dei think tank in relazione a figure dell’amministrazione Trump, come il segretario della Difesa James Mattis e il consigliere per la sicurezza nazionale McMaster.

E riguardo il Venezuela?

L’obiettivo è portare l’attuale conflitto in Venezuela nel terreno “a somma zero”. Tutti sanno che il Venezuela è la principale fonte petrolifera nel mondo ed ha un’ampia gamma di falde acquifere, gas e minerali strategici utili all’industria spaziale e militare del sistema che cerca d’imporsi sul pianeta. Pertanto assicurarsi il territorio, fonte di approvvigionamento economico, è certamente una strategia vincente per il piano egemonico che si cerca d’imporre al mondo. Un estratto dal rapporto del Centro per una nuova sicurezza americano dice molto chiaramente che è di primaria importanza per gli Stati Uniti trarre benefici dai mercati energetici che ne estendano il potere a livello globale. Ciò equivale a far regredire il Venezuela al vecchio status che permise ai discendenti della Standard Oil (Exxon, Chevron, Conoco Phillips…) di controllare direttamente o indirettamente l’industria petrolifera venezuelana, ottenendo proprio questi vantaggi strategici. E’ ampiamente noto che almeno 24 compagnie petrolifere multinazionali hanno firmato accordi con PDVSA e Stato del Venezuela, operando nel sistema misto esistente nel Paese. Ciò aiuta a capire che multinazionali come Exxon Mobil e Chevron finanziano le sanzioni contro il Venezuela, arrivando anche a controllare il dipartimento di Stato degli Stati Uniti, ed hanno un particolare rapporto con il finanziamento dei think tank che tracciano le azioni contro il Paese. Ciò comprende, tra molti esempi, la recente proposta del Consiglio per le relazioni estere presentata al Congresso degli Stati Uniti per rafforzare il blocco con l’OSA, e la visita di Luis Almagro presso l’American Enterprise Institute, pochi giorni prima della sua presentazione della richiesta di applicare la Carta democratica contro il Venezuela. Tali iniziative hanno lo stesso obiettivo e si basano sul sostegno esplicito di altri think tank come Consiglio delle Americhe e Consiglio Atlantico, creati da società particolarmente interessate alle risorse naturali del Paese che vogliono sfruttare senza alcuna mediazione dello Stato venezuelano.

Qual è l’equazione regionale?

Il Venezuela è considerato il Paese chiave per assicurarsi che l’America Latina continui ad essere fonte di approvvigionamento di risorse e manodopera a basso costo, sempre dal punto di vista della strategia globale, dopo i cambi di governi a favore di tale politica in Argentina e Brasile. E’ a tal fine che il Consiglio Atlantico ha presentato un piano che propone che Mercosur e Alleanza del Pacifico si uniscano a una zona di libero scambio permettendo alla regione di aderire a una megapiattaforma commerciale con Stati Uniti ed Europa per entrare con forza sul mercato asiatico. Tale iniziativa è in via di attuazione, dopo discussioni tra i due organismi regionali precedenti alla sospensione del Venezuela dal Mercosur, flagrante violazione del diritto internazionale di questa associazione commerciale. Certo è che liberandosi del Venezuela, il principale ostacolo a tale piano verrebbe sollevato in conformità con la strategia globale promossa dal think tank. Quindi il livello della pressione sul Venezuela per por termine alla sua “cattiva influenza” sulla regione (ad esempio combattere contro il programma Petrocaribe con cui il Venezuela fornisce petrolio a buon mercato ai Caraibi) e cercare di spostare il conflitto politico sul terreno “a somma zero”, dove ogni tentativo di raggiungere un consenso politico nazionale, che non sia sotto tutela estera, lasciando i venezuelani risolvere la crisi, verrebbe sabotato dall’estero. L’applicazione di tali misure fu già discussa nelle ambasciate degli Stati Uniti in America Latina nel 2007, per finirla con l’eredità negativa di Hugo Chavez.


Note
1) Come spiegato dal sindacalista francese Gilles Maréchal (CGT), “i media mainstream sono in una fase in cui il Venezuela non gli serve, dato che si è evitato il rischio dell’elezione alla presidenza di Jean-Luc Mélenchon e dell’arrivo all’Assemblea nazionale di un’ondata di parlamentari di Francia indomita e PCF”. Fenomeno già osservato nelle ultime elezioni in Spagna e Grecia. I titoli dei media francesi non sono il risultato di inchieste o informazioni sul campo ma riprendono ciò che dicono i media dell’opposizione (la maggioranza di radio, televisione, carta stampata e reti sociali in Venezuela) o statunitensi.
2) Telesur
3) Philip Huysmans: “Quando Mike Pence denuncia il “totalitarismo” in Venezuela“.


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