di Ilaria Bifarini
Al via la seconda tranche di privatizzazione di ENAV, entro dicembre servono 3,5 miliardi.
Nel totale silenzio dei media sta per consumarsi l’ennesima privatizzazione del patrimonio pubblico italiano. È arrivata nei giorni scorsi alla Cassa Depositi e Prestiti una lettera da via XX Settembre affinché valuti l’opportunità di rilevare le partecipazioni di due società: una quota pari al 3,3% di ENI e una, più significativa, del 46,63% di ENAV. Quest’ultima società, per chi non la conoscesse, è l’ente nazionale di assistenza al volo, solo un anno fa passata al libero mercato tramite privatizzazione del 49% e successiva quotazione in borsa. Un vero successo secondo il ministro Padoan, nonostante la Brexit: la società fruttò alle casse dello Stato circa 800 milioni di euro destinati a risanare il debito pubblico, secondo la strada delle privatizzazioni indicata da Bruxelles.
La fine dell’anno è vicina e la scadenza dell’obiettivo fissato allo 0,2% del Pil (3,5 miliardi di euro) dei proventi dalle privatizzazioni è sempre più pressante. Se questa operazione andasse a buon fine, secondo le stime, si otterrebbero circa 2,8 miliardi di euro, che non saranno destinati alla crescita e allo sviluppo dell’economia del Paese, ma a una riduzione infinitesimale di un debito pubblico che, attraverso il noto meccanismo degli interessi composti, e senza un incremento sostanziale del Pil è destinato ad aumentare. D’altronde le politiche di privatizzazioni architettate nel famoso panfilo Britannia nel 1992 e sempre più auspicate dalle politiche di austerity, non hanno portato alcun beneficio dal punto di vista della riduzione del debito pubblico, che negli ultimi 25 anni è cresciuto di circa il 30%. Perfino giornali che propagandano l’ideologia neoliberista -come Repubblica o lo stesso Fatto Quotidiano- si sono trovati ad ammettere che le privatizzazioni rappresentano un costo più che un beneficio per l’economia. D’altronde, come si potrebbe pensare che sia proficuo per l’economia nazionale privatizzare un ente come Enav, che nei giorni scorsi ha presentato il resoconto dei primi nove mesi del 2017 con un utile netto in aumento di oltre il 27%?
Sarà di nuovo l’amministratore delegato Roberta Neri, col suo curriculum di tutto rispetto- ha ricoperto ruoli di primissimo piano in società del calibro di Publiacque, Acea, Sorgenia, Tirreno Power (per la quale fu indagata) e di diverse società del gruppo Caltagirone- ad accompagnare l’azienda –fino a poco più di un anno fa completamente partecipata dal Ministero dell’economia- in questa seconda e conclusiva fase di privatizzazione. Sulla scelta dell’advisor invece non è ancora dato sapere, chissà se sarà ancora la Rothschild come nella precedente transazione?
Poiché è sufficiente un decreto del ministero, il conferimento della partecipazione a Cassa Depositi e Prestiti è la via più rapida per fare cassa, rispetto a una cessione sul mercato di una quota azionaria che richiederebbe tempi più lunghi di quelli stringenti previsti dall’UE. Come spiega Massimo Siano, responsabile per l’Italia di Etf Securities, “la Cdp potrebbe poi rientrare dell’esborso collocando gradualmente sul mercato le azioni Enav acquisite”.
Se il progetto, come probabile, andrà in porto, il Tesoro incasserà 1,1 miliardi di euro, una cifra assolutamente irrisoria rispetto all’ammontare del debito pubblico italiano.
Insomma, un altro pezzo d’Italia immolato in nome nel libero mercato e dell’austerity, che consentiranno forse anche quest’anno di scamparla dalle sanzioni e ritorsioni di Bruxelles.
La domanda è raccapricciante, ma lecita: a quando le opere d’arte e il patrimonio ambientale?
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