di Mino Errico
Esiste sulle provincie napolitane una pubblicistica sterminata.
A partire dai primi pamphlet unitari o anti-unitari (di Francesco Durelli e altri)
fino a giungere a “Terroni” di Pino Aprile si contano migliaia di saggi, studi
o pretesi tali. Nonostante qualche lodevole eccezione – ci viene in mente
solamente il Nitti – si tratta di opere a tesi precostituita: le provincie napoletane
versavano nella più cupa miseria, lanciarono il loro grido di dolore (un grido
suggerito da Napoleone III e italianizzato dal lacchè Massari) e il Re
Galantuomo lo raccolse inviando il suo tirapiedi (alias Garibaldi Giuseppe eroe
di tutti i mondi possibili) che le liberò dalla oppressione e dalla miseria.
Anzi no, solamente dalla oppressione, nella miseria ci sono ancora.
L'opera di Nicola Zitara –
L'INVENZIONE DEL MEZZOGIORNO Una storia finanziaria, Editore Jaca Book, gennaio
2011 – giunta nelle librerie in questi giorni di febbraio vuol dimostrare che
questa miseria è conseguenza diretta di quella liberazione. Prima e dopo Nitti
nessun altro si è cimentato in una simile impresa: fare i conti dei costi
economici della unificazione. Tutte le opere che noi conosciamo o sono parziali
o sono partigiane. Quello che colpisce subito quando si prende fra le mani il
testo di Nicola Zitara è la dedica: “In ricordo di Fabrizio Ruffo, eroe
dissacrato della nostra indipendenza”. Una prima provocazione al codinismo intellettuale
imperante nelle nostre accademie. Una scelta di campo netta, senza distinguo né
tergiversazioni. Dalla parte di uno stato indipendente, quello borbonico, che
era meridionale, per i meridionali, con delle proprie leggi, istituzioni,
banche. Figura assolutamente originale nel panorama del cosiddetto meridionalismo
di sinistra (termine che adoperiamo per farci intendere, a Nicola non
piacerebbe certamente), Zitara ha speso gli ultimi anni della sua vita per
consegnare alle generazioni future dei giovani nati al disotto del Tronto un
testo che dimostrasse in modo inequivocabile la origine del disastro
meridionale. Questo si proponeva di fare, ce lo ha confidato in più d'una
occasione, questo ha fatto, scrivendo e riscrivendo quelle che son poi diventate
oltre quattrocento pagine di cifre, tabelle e analisi, scritte con una prosa
che sfiora a volte l'invettiva ma si mantiene argomentativa, sempre dati alla mano.
A prima vista la mole del libro spaventa e se lo si sfoglia spaventa ancor di
più, con tutte quelle tabelle dense di cifre e percentuali, ma se provate a
leggere qualche frase non riuscirete a staccarvene e ve lo porterete a casa e
per sistemarlo laddove tenete le vostre letture preferite. Infatti è un testo
che si può leggere anche sorvolando sulla parte più spiccatamente economica che
a taluni può risultare ostica. Ve ne riportiamo qualche brano esemplificativo:
Il meridionale che cerchi le cause del disastro sociale e morale in cui vive, sbaglia se crede di trovarle nell'indirizzo politico tutt'altro che speciale del governo borbonico, o nel carattere, anche questo tutt’altro che speciale, della società meridionale. Si tratta puramente e semplicemente di alibi escogitati dalla storiografia patria per nascondere la struttura colonialista dello Stato unitario.[...]Al Sud fu imposto d'abbandonare sia il modello tracciato dai riformatori napoletani del Settecento, a favore della piccola proprietà conduttrice, sia il dirigismo industriale immaginato da Luigi de' Medici sin dal 1818. (Cfr. Pag. 1) Il sistema bancario napoletano, fondato su una banca centrale contemporaneamente raffinata e affidabile, che svolgeva egregiamente (e inavvertitamente, ma senza danno per alcuno) tale compito, fu cancellato con un tratto di penna dall'occupante toscopadano. Nonostante la violenza dell'intrusione, il regresso del Sud viene inteso dalla retorica unitaria come progresso. L'ambiguo liberismo di Cavour fece sì che l’accumulazione necessaria per passare dal sistema della rendita al sistema del profitto si risolvesse in un terno al lotto per la Toscopadana e in un volgare saccheggio del Sud. L'interfacciale risultato, ottenuto in appena sei anni, ha strutturato la nazione in due società. L'esito si dispiega ai nostri occhi di posteri come una tragedia sociale – e nessun alibi etnologico basta a salvare i responsabili dalla maledizione delle vittime.[...]Nonostante la sovranità unitaria, la mancanza d'indipendenza del Sud dà luogo a due società profondamente diverse, a due paesi stranieri fra loro, le cui popolazioni mal si sopportano e si disprezzano reciprocamente. (Cfr. Pag. 2)
Non basterebbe l’intera vita di un uomo a scoprire e a raccontare la montagna di magagne e di sopraffazioni nascoste nella retorica unitaria. Qui ci occuperemo di una sola di queste: il parto innaturale del capitalismo padano. O per essere più precisi, il fonte battesimale del sistema, la Banca Nazionale del Regno di Sardegna. Fino al luglio 1862, allorché l’ex ministro Bastogi si slanciò nella seconda spedizione garibaldina (la concessione governativa delle Ferrovie cosiddette Meridionali) non esisteva neppure l’ombra di un moderno capitalismo toscopadano, e neppure l’ombra di un capitalismo toscopadano mezzo moderno. La sua nascita seguì di trent'anni l'unità politica. E le procedure ostetriche non sono facili da raccontare, coperte come sono dal tricolore e dall'Inno di Mameli. (Cfr. Pag. 3)
Avendo seguito passo passo la
genesi e lo sviluppo dell'opera ci sentiamo in dovere di fornire una ulteriore
informazione ai duri e puri che potrebbero storcere il naso sul luogo di
pubblicazione. Nicola avrebbe preferito stamparlo a Napoli o in Calabria e
aveva anche provato a coinvolgere amici e conoscenti offrendo delle quote di
partecipazione ad una pubblicazione in proprio. Non glielo abbiamo chiesto per
riserbo, ma siamo certi che abbia ricevuto non più di cinque o sei adesioni!
Noi meridionali non abbiamo ancora imparato a fare squadra per perseguire degli
obiettivi comuni. Per quanto ci riguarda lo abbiamo sempre pressato a cercare
un editore anche al nord. Si trattava di una opera troppo importante per non
farne una edizione cartacea. Noi avevamo provato a contattare qualche editore,
uno non si è degnato manco di rispondere, un altro (meridionale) almeno ha
risposto cortesemente: “non rientra nella nostra linea editoriale”.
La Jaca Book, da sempre sensibile
alle istanze terzomondiste e dei popoli colonizzati aveva già pubblicato altri
suoi testi e ha dimostrato grande coraggio nel dare alle stampe quest'opera.
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