da centrostudilaruna
di Giovanni Sessa ·
Pubblicato 27 ottobre 2017 · Aggiornato 27 ottobre 2017
La fine della destra
e della sinistra
La crisi della democrazia liberale è giunta ad un punto di
non ritorno. Le società occidentali, nelle quali essa storicamente si è
affermata, sono attraversate da uno iato incolmabile che divide e contrappone
l’élite della Nuova Classe dal popolo. Alla mestizia della fine, come sempre
accaduto nella storia, si accompagnano speranze di un Nuovo Inizio europeo, di
cui, finora, si sono fatti interpreti i movimenti “populisti” comparsi sulla
scena internazionale. Un filosofo e politologo del valore di Alain de Benoist,
da sempre attento a coniugare l’elaborazione teorica con l’osservazione e
l’analisi dei mutamenti sociali, non
poteva rimanere in silenzio. Ha da poco dato alle stampe, dapprima in Francia e
subito dopo in Italia, un testo di grande rilevanza, Populismo. La fine della destra e della sinistra, nelle librerie per i tipi di Arianna editrice (per
ordini: 051/8554602; redazione@ariannaeditrice.it, euro 14,50).
Il volume è arricchito dalla Prefazione di Eduardo Zarelli
che, in esergo, ha una citazione di Jünger, chiarificatrice del senso profondo
del fenomeno indagato “Ogni Paese nasconde una parte di sostanza primordiale,
che designiamo con il nome di Patria, e mi piace ritrovare ancora questo tipo
di integrità. E’ una cosa che può accadere ovunque, anche nel deserto” (p. 5).
E’ ciò che sta manifestandosi nel deserto della post-modernità, quale risposta,
suggerisce de Benoist, a tre problemi epocali: 1) L’immigrazione di massa,
sradicante al medesimo tempo i migranti e i nativi; 2) L’espropriazione della
sovranità politica e monetaria dei popoli realizzata attraverso le politiche
messe in atto dall’Unione europea; 3) Le conseguenze destabilizzanti indotte
dalla globalizzazione. Negli ultimi anni si è registrata una riduzione drastica
dell’appartenenza ideologica ai partiti tradizionali della destra e della
sinistra. Questi ultimi, si sono impegnati nella corsa al “centro” che, via
via, ne ha limato differenze e distanze. Nessuno invoca più la possibile
alternativa al sistema, si parla esclusivamente di possibile “alternanza” nella
continuità delle scelte di fondo. E’ il trionfo del pensiero unico e del
“politicamente corretto”.
Chi si pone idealmente oltre i confini teorico-politici del
sistema neo-liberale, entra a far parte dei “reietti”, che vanno ricondotti
all’ordine. Tale sorte è toccata ai movimenti populisti, di destra o di
sinistra, Lega Nord, Front National, Podemos, inizialmente bollati sic et
simpliciter come rigurgiti neo-fascisti, poi quali incubatori di atteggiamenti
xenofobi, razzisti, sessuofobi e rancorosi. I partiti tradizionali hanno
tradito la loro storia: la destra la nazione, la sinistra il popolo “La
sinistra si è insediata nelle classi medie superiori […] confluendo
nell’economia di mercato, privilegiando le rivendicazioni marginali a scapito
delle aspirazioni di coloro che sono maggiormente minacciati dalla
disoccupazione e dall’insicurezza” (p. 19). E così Dominique Strauss-Kahn,
esponente di spicco del socialismo francese, è stato chiamato alla direzione
del Fondo Monetario Internazionale. Il germe liberale ha contaminato
definitivamente le sinistre che hanno letteralmente lasciato il popolo francese nelle braccia del FN. Il
popolo, infatti, ha reazioni spontanee di indignazione, come ha ben spiegato
Jean-Claude Michéa, nei confronti di un movimento politico ed intellettuale
che, in nome della Modernità “si propone di distruggere l’insieme delle virtù e
delle tradizioni morali alle quali esso è
legato” (p. 22).
Alle idee di Michéa, de Benoist dedica uno dei capitoli più
interessanti del libro. Lo studioso francese individua nell’affaire Dreyfus, il
momento storico in cui il socialismo sposò l’idea del progresso alleandosi,
contro la destra monarchica, con le sinistre. Sino ad allora i socialisti non
leggevano, in modo univoco e negativo, il passato. Marx, Proudhon, Bakunin, distinguevano le
strutture gerarchiche della società di Antico regime, che rifiutavano, dalle
tradizioni consuetudinarie che, al contrario, avevano rappresentato, per secoli,
il collante della comunità. Sposare l’idea di progresso implicò accettare il
principio liberale per il quale le azioni egoistiche giovano al benessere
collettivo. Principio che ha determinato lo sfaldarsi di ogni norma etica “Il
legame sociale si disfa, e questo dis-farsi aumenta la vulnerabilità degli
individui in un clima di pressione concorrenziale, che equivale a una nuova
‘guerra di tutti contro tutti’” (p. 25). Passo dopo passo, si è così giunti al
precariato generalizzato con il quale, la Forma-Capitale, ha sostituito, nella
post-modernità, il proletariato, nonché alla mercificazione dell’esistenza che
ha per protagonista passivo il narciso-consumatore contemporaneo. Il regime
politico che incarna questa metamorfosi è la democrazia “procedurale”, forma di
espertocrazia, in cui il popolo non svolge più alcun ruolo, è silenziato. De
Benoist mette sull’avviso il lettore! Ad essere in crisi non è la democrazia in
senso proprio, la democrazia classica organica, ma la rappresentatività
liberale.
I populisti vogliono ridare voce al popolo espropriato, per
questo rappresentano un pericolo per l’establishment. Una voce particolarmente
significativa, sotto il profilo teorico, in tale congerie ideale, è quella
dell’argentino Ernesto Laclau. Egli, vicino al socialismo e muovendo dal
peronismo di sinistra, critica il determinismo economicista, ritenendo che le
identità politiche dipendono “dalle costruzioni sociali modellate dal discorso”
(p. 185). Ogni prassi politica mobilitante passa, come rilevato da Gramsci,
dalla conquista del’egemonia. Quando ciò avviene, dall’atomismo sociale
liberale sorge un “noi” segnato comunitariamente. Sintesi momentanea
dell’afflato agonistico-polemologico che, stante la lezione di Schmitt, connota
di sé l’apertura dell’uomo al mondo. La politica è il luogo della decisione,
della scelta tra diversi possibili. Nella prassi populista, la politica riacquista, quindi, la
propria autonomia.
Il testo di de Benoist è davvero esaustivo. Offre un’analisi
meditata delle posizioni del neo-marxismo di Negri e Hardt, che in realtà è una
sorta di alter-capitalismo. Infatti, con Zolo, il pensatore francese giudica
l’Impero teorizzato dai due, espressione acefala del Regno dello Spirito, ma
mostra l’inanità del riferimento rivoluzionario alle Moltitudini. La
Moltitudine, prodotta dal lavoro immateriale, si contrappone al popolo, è
espressione del cosmopolitismo indotto
dalla globalizzazione capitalista che, in fondo, Negri ritiene positiva.
Quale sarà lo sbocco cui il populismo giungerà è difficile
prevederlo. E’ comunque una possibilità rispetto alla quale, dopo l’esito
elettorale francese, è bene praticare la sospensione del giudizio. Macron è
esempio teatrale di come sia ancora il “sistema” a creare un “noi”,
fantasmagorico ed onirico quanto si vuole, ma capace per ora di vincere.
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