Il famoso o famigerato selfie con Bashar al-Assad del senatore Razzi, che tanto scandalizzò le anime belle, ha però avuto il pregio di aprire uno spiraglio di discussione sulla qualità del racconto intorno alla crisi siriana.
Non da oggi il racconto di una crisi è più importante della crisi stessa. Lo ha dimostrato, tra i tanti altri casi, il cosiddetto Rapporto Chilcot, dal nome di sir John Chilcot, incaricato dal Governo inglese di indagare sulle ragioni e i metodi dell’invasione anglo-americana del 2003 in Iraq. Tra i tanti altri particolari agghiaccianti, il Rapporto racconta che nel 2003 il criminale di guerra Tony Blair, mentre si apprestava a lanciare con George Bush una guerra basata su motivazioni fasulle che provocò centinaia di migliaia di morti (più o meno ciò che molti oggi imputano ad Assad, insomma), si preoccupava fortemente di avere un gruppo di specialisti della propaganda che sapessero “presentare” quella porcata agli elettori inglesi.
E se di racconti e favole parliamo, mi permetto di esporre qui un’ambizione frustrata: da anni vorrei scrivere un libro per riprendere e commentare le “analisi” che campeggiavano sui giornali e nelle Tv nel 2002-2004, quando quasi tutti gli “esperti” si affannavano a spiegare al popolo che bell’idea fosse attaccare l’Iraq e quale brillante futuro di democrazia e progresso quella guerra avrebbe spalancato al Medio Oriente e al mondo. L’ho proposto in giro e nessuno me lo vuole pubblicare. Li capisco, perché quelli che pontificavano allora pontificano pure oggi, sugli stessi giornali e le stesse Tv di allora. Compreso la Selvaggia Lucarelli coi baffi del Corriere della Sera, che un selfie con Blair e Bush se lo farebbe senza problemi, alla faccia di tutti quelli (comprese le tante migliaia di bambini ammazzati dai tredici anni di embargo che hanno preceduto la guerra del 2003) che in Iraq sono morti mentre si sentivano raccontare che la democrazia era in arrivo.
Perché dopo i pianti per Aleppo, le stragi dei civili di Mosul sotto le bombe dell’aviazione americo-saudita sono state taciute da quasi tutti fino a quando è stato impossibile ignorarle
Storia che si ripete pari pari anche adesso. La presa di Aleppo Est da parte dell’esercito di Assad e dell’aviazione russa è stata accompagnata dagli alti lai degli sdegnati di professione. Giustificati, per carità. La guerra nelle città è una cosa bestiale e orrenda. Ma è il loro sdegno che non è più credibile. Anzi, è ormai immorale. Perché dopo i pianti per Aleppo, le stragi dei civili di Mosul sotto le bombe dell’aviazione americo-saudita sono state taciute da quasi tutti fino a quando è stato impossibile ignorarle: cioè, fino al giorno in cui gli stessi americani hanno dovuto ammettere di aver ammazzato 200 civili in un solo raid.
Se uno dovesse credere a certe cronache, penserebbe che a Mosul non ci sono clown né pediatri né bambine con la fissa di Twitter. Nessuno, insomma, di cui valga la pena di preoccuparsi. Qualche eccezione a me nota: una Ong irachena, una inglese, un articolo di The Post Internazionale e uno del sottoscritto su Terrasanta.net. ...
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