Faceva freddo, quella notte a Hoboken. Faceva un maledetto freddo e dal cielo veniva giù qualcosa di indefinibile che non era più pioggia, ma che ancora non si poteva chiamare neve.
Faceva uno stramaledetto freddo, quella notte a Hoboken, e le pensiline all’aperto della stazione ferroviaria del New Jersey, a un tiro di schioppo dal corso grigio e ancor più gelido del fiume Hudson, non offrivano la benché minima protezione.
Ma più che scosso dai brividi, il manipolo di cronisti e fotografi 'parcheggiati' lì in pianta stabile dai principali quotidiani newyorkesi a fare la guardia al barile per la rubrica del «Chi arriva e chi parte», era pervaso da una fastidiosa sensazione. Del genere: «Qui qualcuno ci ha fregati». E da quella, ancor più sgradevole, di essersi probabilmente lasciati scappare una succulenta notizia.
RIUNIONE IN SORDINA
Era la notte del 22 novembre 1910 e sarebbe passata alla storia soltanto qualche anno dopo per via di quella clamorosa fregatura tirata ai reporter mondani, molti dei quali spediti a coprire un incarico tanto effimero e disagevole proprio in quanto pivelli alle prime armi.
Era così sfuggita loro l’invidiabile occasione di poter raccontare il primo passo che avrebbe poi portato alla nascita della Federal Reserve (Fed), la banca centrale americana.
A Hoboken il gotha della finanza mondiale
I sette banchieri che parteciparono alla riunione del 1910 per fondare la Federal Reserve.
Una pagina poco chiara, per nulla trasparente. Sarebbero passati sei anni prima che la verità venisse a galla per merito di un giornalista un po’ più sveglio, curioso e pervicacemente ficcanaso: un certo Bertie Charles Forbes, futuro fondatore della rivista economico-finanziaria che ancor oggi porta il suo nome.
Sta di fatto che a pochi minuti uno dietro l’altro, sotto i nasi dei giovani reporter mondani - più usi a riconoscere belloni dello spettacolo, muscolosi assi del baseball e ancheggianti squinzie annesse - erano sfilati sette degli uomini più potenti del mondo borsistico e finanziario statunitense.
Nell’ordine: il senatore repubblicano Nelson Aldrich, capo della Commissione monetaria nazionale; A. Piatt Andrew, assistente del segretario al Tesoro; Frank Vanderlip, presidente della City National Bank di New York, nonché braccio destro di William Rockefeller; Henry P. Davison senior, partner anziano di Jp Morgan Company e indiscusso alter ego di mister John Pierpont Morgan in persona (come dire il padre di tutti i banchieri); il suo collega Benjamin Strong, capo della Jp Morgan Bankers Trust; Charles D. Norton, presidente della First National Bank di Manhattan e Paul M. Warburg, partner della Khun, Loeb and Company, rappresentante delle famiglie Warburg e Rotschild in Europa.
Messi tutti insieme, rappresentavano all’epoca un quarto dell’intera ricchezza mondiale.
LONTANO DAI CRONISTI DI MANHATTAN
Avevano tatticamente deciso di partire da una stazione secondaria come quella di Hoboken, nel New Jersey, in quanto molto più defilata rispetto a quella troppo in vista di Manhattan, là dove i cronisti erano di norma reporter più grassi, navigati e anche ben piazzati in un salottino riscaldato.
Per ulteriore scrupolo, al fine di depistare eventuali curiosi, i sette big cheeses - «pezzi grossi», nel gergo affaristico newyorkese - erano arrivati preceduti da montagne di valigie tra le quali spiccavano in voluta bella vista custodie di fucili da caccia.
«Beati loro, se ne vanno a sparare alle anatre al caldo della Florida», aveva ingenuamente e collettivamente concluso il manipolo di sbarbati cronisti, stringendo delusi i bloc notes ancora vuoti tre le dita ormai livide per il freddo.
Quegli uomini dai cappotti impellicciati avevano tirato diritto scortati da una pattuglia di facchini ed erano saliti in fretta su un piccolo convoglio privato, protetto dalle tendine abbassate, che li attendeva su un binario secondario con la vaporiera in tiro. Quindi un fischio, «si parte» e via nella notte.
Via da Hoboken, via da quel freddo, via dallo stramaledetto New Jersey, via da occhi che non avrebbero dovuto vedere. Via soprattutto da possibili lettori dell’indomani, quelli che non avrebbero mai dovuto sapere.
Dopo un migliaio di miglia verso Sud, e innumerevoli ore di viaggio più tardi, il convoglio si era fermato alla stazione di Brunswick, in Georgia, un luogo famoso unicamente - lo è ancor oggi - come capitale americana dei gamberi. Roba che è difficile da catturare a fucilate.
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