google_ad_client: "ca-pub-2245490397873430", Sine.ClaV.is: Il patto Gentiloni: cento anni dopo la storia si ripete?

lunedì 8 maggio 2017

Il patto Gentiloni: cento anni dopo la storia si ripete?

Nel 1913 il tacito accordo tra liberali e cattolici per fermare i socialisti con la regia del conte Vincenzo Ottorino, antenato del neo-premier




«Me lo chiedono da quando andavo a scuola… » , ha detto Paolo Gentiloni dei rapporti col suo antenato Vincenzo e del “patto” passato alle cronache con il cognome della loro famiglia e che, nel 1913, consentì di far fuoriuscire da una impasse paralizzante la politica italiana. Del resto, in questi giorni le coincidenze e le ricorrenze sono più d’una.


Intanto se Vincenzo Ottorino Gentiloni Silveri si spegneva nel 1916, è esattamente cento anni dopo che un suo discendente viene incaricato di presiedere un governo finalizzato a uscire da una nuova situazione di stallo. E allora come adesso c’è di mezzo una questione di legge elettorale. Paolo Gentiloni Silveri deve infatti guidare un governo con lo scopo principale di pervenire di un nuovo sistema di voto in grado di far superare lo stallo verificatosi dopo le elezioni del 2013. Nel 1912, invece, una riforma elettorale – approvata il 30 giugno – aveva introdotto il suffragio universale maschile su base di collegi maggioritari uninominali. Il numero di aventi diritto al voto era passato dai circa tre milioni iniziali a quasi nove milioni di elettori. Una riforma elettorale che era stato il prezzo pagato dal premier Giovanni Giolitti ai socialisti di Leonida Bissolati per l’appoggio ottenuto durante la guerra italo– turca. Ma essendo la maggioranza degli elettori operai e di estrazione popolare si temeva una maggioranza guidata dal partito socialista, che all’epoca comprendeva anche posizioni massimaliste e anarcoidi, oggi diremmo populiste. In questo senso, l’azione di Vincenzo Gentiloni fu decisiva per consentire di affrontare la nuova legge elettorale, collegio per collegio, con lo scopo di far perdere i socialisti. Il patto Gentiloni portò deliberatamente, alle elezioni del 1913, l’elettorato cattolico a schierarsi con i liberali giolittiani con il fine esplicito di fermare l’avanzata socialista, marxista e anarchica e consentire a Giolitti la formazione di un nuovo governo.


Anche da questo punto di vista – corsi e ricorsi della storia – c’è un comune riferimento alla cultura liberale. Quando infatti, qualche anno fa, hanno chiesto a Paolo Gentiloni cosa occorresse di più al PD, lui rispose chiaramente: «Il pensiero liberale: nel partito democratico ci saranno sia eredi di una cultura comunista che è stata sconfitta dalla storia, sia militanti di una cultura cattolica che ha avuto torti e ragioni. Possibile che manchino interpreti di quella liberale, che ha vinto la battaglia culturale del Novecento? Cercansi disperatamente – concludeva – interpreti della cultura liberale.». Allo stesso modo, i punti del patto firmato nel 1912 furono inseriti nell’accordo fondativo dell’allora neonato Partito Liberale. Nello spirito del “patto”, infatti, Gentiloni e Giolitti diedero vita al Partito Liberale del periodo immediatamente precedente alla prima guerra mondiale, al quale s’ispireranno, dopo la seconda guerra mondiale, i fondatori dello stesso PLI. Nel Partito Liberale, fondato appunto nel 1912, grazie a Giolitti e Gentiloni, venivano perciò a confluire il filone risorgimentale legato alla tradizione cavouriana e il filone cattolico largamente maggioritario nel Paese anche se fino ad allora sostanzialmente escluso dalla partecipazione ufficiale alla legislazione e all’amministrazione dello Stato.


(continua)


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