google_ad_client: "ca-pub-2245490397873430", Sine.ClaV.is: Perché la superclasse mondiale non è una aristocrazia (II).

mercoledì 31 maggio 2017

Perché la superclasse mondiale non è una aristocrazia (II).

di Maurizio Blondet


Queste cerchie (che abbiamo esplorato nel precedente articolo) non stanno allo stesso livello, ovviamente. Esse sono gerarchicamente ordinate. La cerchia economico-finanziaria transnazionale sta ovviamente al vertice, è il cuore  della superclasse mondiale: è il potere del denaro de-regolato allo stato puro. Comanda a quelli sotto, come esecutori, compagni di strada, utili idioti.

La cerchia dei poteri pubblici ed amministrativi  si pone all’ultimo posto, perché obbedisce ai dettami di sopra strumentalizzando una autorità residuale su uno spazio nazionale, dunque ridotto. Fano eccezione gli Stati Uniti d’America, in quanto hanno imposto le loro normative (globaliste, di libero scambio, di qualità, di dazi) a tutto l’Occidente, e si applicano ad imporle al resto del mondo, anche con la violenza bellica: ciò che chiamano espandere la democrazia.  Solo adesso, nella sua volontà di distruggere Trump, vediamo il potere feroce di questo “deep state” americano, inamovibile gestore del potere oligarchico globale.

Però i diversi cerchi non sono chiusi, comunicano tra loro, la superclasse mondiale funziona appunto così: prospettando promozioni ai vertici. Grand commis che diventano finanzieri, capi di multinazionali che incamerano anche imperi mediatici, miliardari che finanziano fondazioni culturali, think-tank.

La Goldman Sachs, “americana”, ospita una quantità di europei fra un incarico “pubblico” e l’altro, onde non restino fuori al freddo: Prodi  e Draghi, Mario Monti e Papademos. Manuel Barroso, appena scaduto dalla poltrona di presidente della Commissione UE, ha trovato a Goldman Sachs il nido caldo.

All’inverso, Connie Hedegaard, dopo essere stata Commissaria europea al Clima (sic), è  stata assunta  come alta consulente alla Volkswagen, non male  dopo il “dieselgate”. Conflitto d’interesse? Teniamo presente che quando contro un politico in ascesa  viene attaccato – e bloccato –   opponendogli un qualunque “conflitto d’interesse” (come per Berlusconi o Trump), è segno che egli non appartiene alla superclasse mondiale. Contro Mario Draghi  che in Goldman consigliò il governo greco dei trucchi finanziari per i quali lo punisce da quando è al vertice della BCE,  nessuno ha mai sollevato la maleducata domanda.  Anzi per di più l’eurocrazia  ha fatto varare agli Stati  soggetti  leggi che la rendono immune da qualunque prosecuzione giudiziaria per i suoi atti nella finanza.

In Francia, è la Banca Rotschild che svolge la funzione di  nido   di oligarchi   svolta da Goldman Sachs. Poi ci sono premi di consolazione per fedeli promettenti: così Enrico Letta, liquidato da Matteo Renzi,  ha subito trovato una cattedra a Parigi, alla Science Po, dove insegna non si sa cosa a chi. Scusate, mi correggo: tiene un corso su “Europa e populismi”.   Lo vedremo tornare a qualche altro grande incarico, o “politico” o nelle “istituzioni europee”.  Allievo ideologico di Andreatta e promosso da Napolitano, è segnato per immancabili  alti destini.

Ma non è utile puntare troppo lo sguardo su singole persone. Sono intercambiabili, ma soprattutto la superclasse  ama governare in modo impersonale, anonimo.  Parte della sua forza  si situa proprio in questo, che il suo potere si situa dovunque e da nessuna parte, inafferrabile, sfugge alla regolamentazione ed anche alla critica. Esempio: il “divorzio fra Tesoro e banche centrali” avvenne in tutta Europa negli anni ’70, i parlamenti vararono la stesse leggi ad hoc, senza che  fosse possibile identificare la centrale che aveva dato l’ordine, fu un fenomeno “spontaneo”, i media spiegarono che era una innovazione ormai necessari per i tempi nuovi, la liberazione dal dirigismo  eccetera.

Assistiamo allo stesso fenomeno oggi: improvvisamente tutti i governi si occupano dei “diritti LGBT”  da difendere contro “la discriminazione”, delle “nozze gay”, e la gente ha la sensazione che ciò sia stato richiesto dalla “opinione pubblica”. Invece, al parlamento ucraino (quello golpista di Kiev)  la UE ha  imposto di varare leggi sul matrimonio omosessuale; di fronte al rifiuto scandalizzato di maggioranza ed opposizione, la risposta è stata: allora sognatevi di entrare in Europa, questi sono i nostri valori. Non è stato possibile sapere “chi”, concretamente,   ha portato questo ordine.

Così  all’opinione pubblica viene sottratta la consapevolezza su   chi, concretamente, abbia imposto di insegnare negli asili la teoria del gender –anzi si nega persino che esista una tale volontà pedagogica. Ma tutte le scuole europee hanno cominciato ad insegnarla.

Cosa vuole la superclasse?

I media bollano immediatamente come “complottismo” (dunque morte civile per giornalisti) ogni allusione all’esistenza di un progetto occulto e antidemocratico cui si dedicherebbe la superclasse. Ciò è strano,  dal momento che i supremi oligarchi non si sono fatti mai scrupolo di enunciare i loro programma e i loro metodi.

A cominciare da Paul Warburg, il banchiere (j), davanti al Senato Usa nel 1950: “Avremo un governo mondiale, lo si voglia o no. La sola questione è sapere se sarà instaurato  per adesione o per conquista”.  Edmond De Rotschild, in una intervista del 18 luglio 1970: “Il catenaccio da far saltare, attualmente, è la nazione”.

David Rockefeller, nelle sue Memorie (2002):  “Alcuni credono che noi [i Rockefeller, ndr.] facciamo parte di una cabala segreta, […]  complottando con altri in tutto il mondo per costruire una struttura politica  ed e economica globale più integrata – un solo mondo, se volete. Se questa è l’accusa, io sono colpevole e fiero di esserlo” .

Infine sempre David Rockefeller, 1999, intervista a NewsWeek: “Qualche cosa deve sostituire i governi, e il potere privato mi  sembra l’entità adeguata per farlo”..

In questa breve frase c’è tutto lo scorcio del progetto: il “potere privato” – ossia quello delle ricchezze private  della superclasse, degli speculatori, dei finanzieri –  deve sostituire il potere pubblico, quello che  bene o male risponde ai cittadini.

La loro giustificazione ideologica, fedelmente ripetuta dai media, è che gli Stati  nazionali non sono più in grado di risolvere i problemi dell’umanità, che sono globali: dal “riscaldamento globale” alla “disseminazione nucleare” alla “sovrappopolazione”, ed ora ci aggiungono “le migrazioni” e “il terrorismo”,  qualunque problema d’occasione viene avanzato per predicare (e praticare) la necessità del “governo globale”. La falla del ragionamento sarebbe lì da vedere, se non fossimo rincretiniti dalla  ipnotica persuasione mediatica:  molti dei problemi “globali” sono provocati appunto dalla globalizzazione, ossia da loro; e non si vede perché dei grandi “privati”, con interessi privati e guidati esclusivamente  dal criterio della più efficiente  allocazione del capitale (ossia del massimo profitto sugli investimenti loro), siano più adatti dei pubblici a risolvere i “grandi problemi dell’umanità”.

E’ mera ideologia. Già Jean Monnet, il privato (fabbricante di cognac) che fu incaricato dalle banche Usa di distribuire i fondi del Piano Marshall in cambio di cessioni di sovranità – e gli stati bisognosi accettarono, era il 1945 – il fondatore della Comunità europea, diceva: “Le nazioni sovrane del passato non sono più il quadro dove si possono risolvere i problemi del presente. E la Comunità (Europea) stessa non è che una tappa verso forme di organizzazioni del mondo di domani”.

In realtà, ecco i risultati che questo governo di filantropi ha creato: la mondializzazione e finanziarizzazione hanno aumentato solo i profitti delle grandi transnazionali e dei loro  grandi azionisti. Le privatizzazioni di attività di pubblico interesse hanno aperto nuovi campi alla loro speculazione e ai loro profitti, senza affatto migliorare i servizi.  Le delocalizzazioni  sono andate alla ricerca dei salari più bassi nel mondo, e in Occidente consentono di premere verso il basso quelli degli autoctoni. Come aveva previsto il Nobel Maurice Allais  il libero-scambismo globale non fa che creare disoccupazione di massa in Occidente, e precarietà strutturale – che è un fattore di reimbarbarimento, con perdita inestimabile di competenze tecniche, che per esempio sono trasferite in Cina. La classe media, depositaria di tali competenze, è in via di pauperizzazione irreversibile; per contro, la ricchezza dei ricchi è cresciuta. Dal 1988 al 2008, i redditi dell’1 per cento superiore (la Superclasse delle superclassi) è aumentato del 60%, mentre quello del 5% inferiore non è cambiato.

Come non bastasse, la superclasse ha fatto dovunque modificare la fiscalità a proprio esclusivo profitto: dovunque in Occidente la progressività del prelievo fiscale diminuisce via via che si sale nella gerarchia delle fortune. Laddove la classe media  si vede prelevare il 45%  dei suoi  modesti redditi, le multinazionali, i loro grandi azionisti e i loro amministratori delegati  non pagano che il 5, o l’1%, o niente. La  fantomatica “lotta all’evasione” , spietata per i redditi  fissi, mantiene aperti  in Europa, non alle Cayman, noti paradisi fiscali per lor signori. Sia dato onore alla sincerità di Warren Buffett, il vecchio speculatore, terza persona più ricca del mondo (quasi 66 miliardi di dollari per Forbes): “C’è la lotta di classe, e siamo noi, la classe dei ricchi, che la vinciamo” (New York Times, 26 novembre 2006)

La corruzione  dei politici? Opera loro.

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